venerdì 6 maggio 2016

Memory, Filippo Parisi





“Mi chiedo:
chi sono io?”
da: Cuore, mente e istinto

Forse è stata questa domanda che ha portato Filippo Parisi a iniziare a scrivere: la domanda che lo ha portato alla ricerca di una risposta nella scrittura.

“Una poesia
può accendere il rammarico di una vita
o l’assenza di un amore mai sfociato.”
da: Una poesia

I bivi della vita si diradano tra questi versi: sotto un cielo stellato, il poeta-esploratore cerca di ritrovarsi.

“Ascolterò
il cuore
la mente
o l’istinto?”
da: Cuore, mente e istinto

Improvvisamente però trova qualcos’altro che sembra anche essere migliore, più bello di ciò di cui era alla ricerca.

“Non ci sarà ombra
che oscuri
la luce che rifletti.”
da: Esplorando… ho trovato te

Qualcosa di pericoloso ma allo stesso tempo lusinghiero, soprattutto irraggiungibile.

“Mentre io ti sogno,
c’è qualcuno che ti fa sognare.
Mentre ti penso
c’è qualcuno che si è stancato di pensarti.
Quando qualcuno ha appena finito di sfiorarti,
io mi sono appena addormentato pensandoti.”
da: Non sarai il mio assassino

Della passione e dell’amore, è questo il dramma del poeta, alla ricerca di redenzione e di una parte nella storia umana.
Solo e incompreso, all’orizzonte, alla fine, prende forma la salvezza, raggiungibile attraverso due forze: la fantasia e l’istante, il momento che, se colto, può sconvolgere l’esistenza e portare un cambiamento.

“Io provengo dalla strada,
e alla strada tornerò.
Non sarò
né sfruttato
né compreso.”
da: Malinconia

Sempre con se stesso, l'autore non accetta parti né compromessi se non le sue idee. Stanco della quotidiana frenesia, vorrebbe riposo: eppure non può fermarsi, affinché la sua storia non cada nell'oblio.
La malvagità e la consueta ipocrisia della società lasciano comunque uno spiraglio di luce.



Filippo Parisi nasce a Colonia nel 1980 da una famiglia di emigrati. In giovane età si trasferisce a Palermo, dove inizia la sua formazione scolastica. Intraprende un breve percorso politico, d'ideologia di sinistra che lo porterà ad avvicinarsi ai Socialdemocratici ricoprendo la carica di segretario della sinistra giovanile di una sezione dell'hinterland palermitano. Scoprendo varie demagogie della politica locale, si ricrede nelle sue tendenze politiche e abbandona questo percorso in favore di quello artistico. Dedicando al cinema e alle scritture di diverse sceneggiature.

Edizioni Montag
Prima edizione giugno 2014
"Memory"
di Filippo Parisi
Collana "Le chimere"



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domenica 10 aprile 2016

I beati anni del castigo, Fleur Jaeggy

Nel 1990 l'autrice italiana di origine svizzera Fleur Jaeggy vince il Premio Bagutta con il suo romanzo I beati anni del castigo. 



"Intinta nell'inchiostro blu dell'adolescenza, la penna di Fleur Jaeggy è il bulino di un incisore che disegna le radici, i ramoscelli e i rami dell'albero della follia che cresce nello splendido isolamento del piccolo giardino svizzero della conoscenza fino a oscurare col suo fogliame ogni prospettiva. Una prosa straordinaria. Durata della lettura: circa quattro ore. Durata del ricordo, come per l'autrice: il resto della vita."

Aprendo la copertina di questo piccolo libro, si apre il cancello del Blauser Institut. La narrativa del Novecento offre una poliemia di collegi: questo però è declinato al femminile.
La storia è lineare, almeno fino a un certo punto: un monologo, la voce di un ricordo che narra in modo lento e in costante ascesa. Le pagine sembrano quelle di un diario intimo dalla scrittura fredda, quasi clinica che sonda la psiche delle compagne e indaga, ricamando una fitta e affascinante rete.

"Non si parlò mai di amore, come invece è abitudine nel mondo. Ma avevamo la certezza che fosse prestabilito."

Questa favola nordica dal ritmo musicale, sviluppa uno spietato assolo che ritrae l'orlo invitante dell'abisso in una danza struggente. Fuoco di tutto ciò è la beatitudine nel guardare e guardarsi, con un attenzione tale al tempo che scorre da cristalizzarlo.



"La mattina presto, camminavo sulla collina. Da lassù osservavo i miei domini mentali. Era il mio appuntamento con la Natura."

La formazione non avviene: ogni attesa è negata e derisa ma la via dell'indugio è l'unica che conduce a qualche meta. Da un romanzo che gira su se stesso, dove l'incipit si fa epilogo, emerge come vertice dei saperi femminili una premonizione: la follia. 



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sabato 9 aprile 2016

Il meraviglioso Mago di Oz, Lyman Frank Baum

"La storia del Meraviglioso Mago di Oz fu scritta unicamente per allietare i bambini di oggi. Esso aspira a essere un racconto di fiabe modernizzato, in cui siano mantenute la meraviglia e la gioia, mentre i patemi d'animo e gli incubi non ci sono più."




Nel 1900 Lyman Frank Baum, ottenuta una discreta tranquillità economica dopo il suo primo libro di successo Papà oca: il suo libro e dedicatosi alla letteratura a tempo pieno, pubblica il suo capolavoro Il meraviglioso Mago di OzNelle parole precedenti, lo scrittore esprime il suo desiderio di voler divertire e far sognare i giovani lettori evitando ogni moralismo o intento didascalico.
Il racconto dall'ispirazione fantastica ottiene immediatamente un notevole successo: per i ragazzi statunitensi, che di solito privilegiavano le storie d'avventura o i racconti di ambientazione storico-realistica, il viaggio di Dorothy, dello Spaventapasseri, del Boscaiolo di Latta e del Leone Vigliacco, è una vera e propria novità.
Baum lascia la dimensione fiabesca e favolistica alla letteratura europea e lo strepitoso successo del romanzo lo convinse a riadattarlo per il palcoscenico e lo schermo. Il Mago di Oz in versione cinematografica è legata soprattutto al film a colori interpretato da Judy Garland nel 1939.



Con una dolcezza mai stucchevole e una velata maturità, la meta della Città di Smeraldo rappresenta per i personaggi di questo racconto una corsa verso ciò che si pensa di non possedere.
Intelligenza, Gentilezza e Coraggio: questi sono per Baum gli ingredienti per una vita se non perfetta quanto meno dignitosa.

" - E il mio cuore? - chiese il Boscaiolo di Latta.
- Bé, quanto a questo - rispose Oz - secondo me tu fai male a desiderare un cuore.
Il cuore rende infelice la maggioranza delle persone. Tu sei fortunato a essere senza; basterebbe che te ne rendessi conto.
- Questione di opinioni - disse il Boscaiolo di Latta. - Per me, se mi darai un cuore sono pronto a sopportare tutta l'infelicità del mondo senza la minima protesta."

Delicata metafora della scoperta di se stessi, il Mago di Oz non ha bisogno di troppe descrizioni: le avventure si susseguono rapidamente, dando alla trama un piacevole ritmo. Fantasticare è facile, ancor di più lo è, per un piccolo lettore, rendersi conto che ciò di cui i personaggi sono alla ricerca già li appartiene.


"L'esperienza è la sola cosa che porta la sapienza".

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giovedì 31 marzo 2016

Il bar sotto il mare, Stefano Benni

“Camminavo una notte in riva al mare di Brigantes, dove le case sembrano navi affondate, immerse nella nebbia e nei vapori marini…”



Una foto con ventitré volti, ognuno dei quali corrispondenti a una storia e l’unico modo per uscire dal bar sotto il mare è raccontarla. Eppure, una notte, tutti vorrebbero capitare in un bar dove tutto, misteriosamente, può accadere.
A un tratto ci si può ritrovare a Sompazzo dove il tempo è diventato matto; poi a Parigi, nella prestigiosa cucina di Gaspard Ouralphe; dopo ancora nell’Africa del Sud, a bordo della Fidèle.




Circostanze atipiche e situazioni improbabili fanno da sfondo a sentimenti e fatti quotidiani: il surreale ingloba la realtà, la realtà invade il surreale.
Il divertissement puro si alterna a una satira graffiante che strappa un sorriso perplesso.
Varie e differenti forme stilistiche si abbracciano tra cui l’horror, il poliziesco e degli esercizi di fantasia, alta espressione di Benni.
Se questo non incuriosisce abbastanza, riporto qui il messaggio con il quale lo scrittore ha rifiutato il premio Vittorio de Sica (29 settembre 2015):

"Gentili responsabili del premio De Sica e gentile Ministro Franceschini, vi ringrazio per la vostra stima e per il premio che volete attribuirmi. I premi sono uno diverso dall'altro e il vostro è contraddistinto, in modo chiaro e legittimo, dall'appoggio governativo, come dimostra il fatto che è un ministro a consegnarlo.
Scelgo quindi di non accettare. Come i governi precedenti, questo governo (con l'opposizione per una volta solidale), sembra considerare la cultura l'ultima risorsa e la meno necessaria. Non mi aspettavo questo accanimento di tagli alla musica, al teatro, ai musei, alle biblioteche, mentre la televisione di stato continua a temere i libri, e gli Istituti Italiani di Cultura all'estero vengono di fatto paralizzati. Non mi sembra ci sia molto da festeggiare.
Vi faccio i sinceri auguri di una bella cerimonia e stimo molti dei premiati, ma mi piacerebbe che subito dopo l'evento il governo riflettesse se vuole continuare in questo clima di decreti distruttivi e improvvisati, privilegi intoccabili e processi alle opinioni. Nessuno pretende grandi cifre da Expo,ma la cultura (e la sua sorgente, la scuola) andrebbero rispettate e aiutate in modo diverso. Accettiamo responsabilmente i sacrifici, ma non quello dell'intelligenza.
Comprendo il vostro desiderio di ricordare il grande Vittorio De Sica, e voi comprenderete il mio piccolo disagio."



"Nell'invenzione nulla muore, mentre ricchezza e indifferenza spengono tutto, perdio!"



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martedì 22 marzo 2016

Guerra e pace, Lev Tolstoj

"Guerra e Pace è un libro politeista; Tolstoj ha portato ogni ipotesi teologica fino allo scandalo che essa comporta e vuole che noi esperimentiamo le contraddizioni del cielo."

Pietro Citati, Tolstoj
Premio Strega 1984

Quali sono i fini o le mete della storia? 
Napoleone non è andato in Russia per la grandezza della Francia e Alessandro non è andato in Francia per la grandezza della Russia. Niente accade in nome di qualche diritto del popolo o del sovrano: la storia non ha nessun fine. È soltanto questa incessante marea, da occidente a oriente, da oriente a occidente, che si ripete da secoli e lascia sulla sua strada milioni di morti e assiderati. Non è neanche Dio a fare la storia e proprio per questo ci riesce incomprensibile. Gli uomini mirano a una meta e la storia si serve dei loro piccoli desideri per architettare qualcosa di diverso. Così Tolstoj non crede alla cause degli eventi  ricordate dagli storici: le accetta ma le moltiplica perché ogni evento è prodotto da miliardi di cause. 



Per quanto sia accessibile la catena delle cause di una qualsiasi azione, non potremo mai conoscere l'intera catena, poichè essa è infinita, e di nuovo non otterremo mai un'assoluta necessità.

Tolstoj si diverte a prendersi gioco di Thiers, elevandosi a possessore non solo della verità poetica ma anche di quella storica.
Con l’occhio passivo, ingenuo e farsesco di Pierre, raffigura la stranezza e la comicità della battaglia di Borodino, come un incubo vuoto, assurdo, orrendo. La storia è vista da uno che non capisce niente e così viene fedelmente rappresentata, derisa, nullificata.
Eppure quest’uomo con la testa perduta in chissà quale sogno, è il personaggio più terrestre di Guerra e Pace: Pierre è comico intellettualmente (gioca alla filosofia, alla guerra o al matrimonio come potrebbe giocare a scacchi) e fisicamente. Tolstoj però lo ama perché, attraverso i suoi errori, gli prepara la felicità.


E il volto dagli occhi attenti, con uno sforzo, come si apre una porta arruginita, ebbe un sorriso, e da quella porta aperta ad un tratto alitò e investì Pierre quella felicità da tanto tempo dimenticata alla quale ormai non pensava più. Alitò, lo avvolse e lo sommerse tutto. Il suo sorriso fece svanire ogni dubbio: era Nataša, e lui l'amava.

Invece gli errori del principe Andrej gli si rivolgono contro: la sua freddezza ed estraneità alla vita, il ribrezzo e l’ostilità per la carne culmineranno nel destino di uno che con una parte di sé è sempre stato morto.



Amare tutto, tutti, sacrificare in ogni momento se stesso per l'amore: voleva dire non amare nessuno, voleva dire non vivere di questa vita terrena.

Il paradosso di Guerra e Pace vuole che due indagatori dell’immenso come il principe Andrej e Pierre puntino su una persona meravigliosamente limitata: Nataša.
Nataša cammina a un centimetro dall’abisso e solo la grazia le impedisce di cadervi: è felice in maniera assurda e nessuno potrebbe spiegarne il motivo. Forse la sua gioia di vivere è posseduta da un profondo narcisismo: si ama e nei monologhi che fa a se stessa c’è sempre un uomo, il migliore, il più intelligente che la sazia di complimenti.



Per lei era troppo poco amare e sapere di essere amata: aveva bisogno di abbracciare l'uomo amato in quel momento, subito; di dire e di ascoltare dalla sua voce le parole d'amore di cui il suo cuore era colmo. 

A Nataša e Pierre spetta il regno del presente, al principe Andrej quello del futuro che il figlio Nikolaj eredita e con il cui sogno il grande romanzo termina ma potrebbe anche ricominciare da qui.



Di una cosa sola prego Dio: che anche a me succeda ciò che è successo agli uomini di Plutarco, e io farò come loro. Anzi farò meglio di loro. Tutti lo sapranno, tutti mi ameranno, tutti mi ammireranno.

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venerdì 11 marzo 2016

Grazie Swapmuseum

Venerdì sera: tavolata con amici, fuori. Abbiocco post cena. Testa sorretta dalla mano e dal forte ritegno che si tenta di avere per non cadere nel sonno, davanti a tutti.
Poi arriva Alessandra, spedita e allegra come sempre: mi sveglia, portandomi la notizia di un’iniziativa di cui non ero a conoscenza. Lo dice a me perché sa quanto ami l’arte, in tutte le sue forme. Lo dice a me perché sa che credo nell’ipotetica diffusione di questo amore. Lo dice a me perché sa che mi piace conoscere.
Si tratta di Swapmuseum e a spiegarlo non ci vuole nulla, è chiaro, limpido: consiste in te che diventi promotore dei musei della tua città con i mezzi che più ti piacciono e che alla fine utilizzi tutti i giorni. Fotografie, social media, scrittura di testi: è così che si diventa swapper. Puoi scegliere tu quando andare, quale attività svolgere e alla fine del tuo percorso vieni premiato! Con un buono viaggio o in film, musica, libri; con dei biglietti per un concerto; con un abbonamento stagionale a teatro. Non è bellissimo?
E io, che già da tempo meditavo di allargare i miei interessi oltre che sulla letteratura e la storia, anche sull’arte, ho pensato fosse l’occasione giusta per farlo.
Inizio a tartassare di messaggi la pagina Facebook Swapmuseum, richiedo un opuscolo per e-mail e alla fine, tra le attività rimaste, scelgo quella presso il Museo Diocesano in piazza Duomo, a Lecce. Avrei dovuto trasformare i contenuti presenti nel sito del museo in qrcode, ovviamente dopo una visita, accompagnata da Barbara e Delia, due delle organizzatrici del progetto.
Ciò che subito mi è piaciuto di loro è stata la gentilezza e la disponibilità: anche la curiosità di conoscermi, volevano sapere tutto di me, che cosa facessi, che cosa amassi. Una calda accoglienza.



Dopo le presentazioni siamo salite su, con Annamaria, la guida presente nel museo: la prima sala, dai colori caldi e tenui, esponeva opere di pittori aderenti alla scuola napoletana, come Paolo Finoglio, Ippolito Borghese, Giulio Cesare Infantino, Paolo De Matteis e Giandomenico Catalano. Sono presenti anche delle copie dell’Apostolado dello spagnolo Giuseppe Ribera il cui figlio ha vissuto nei pressi di porta San Biagio. Alla fine del corridoio, il busto di Sant’Oronzo.


Apostolado


Poi si sale sul soppalco, dove sei vetrine si spartiscono i preziosi paramenti liturgici e gli argenti napoletani, tesori della Cattedrale di Lecce risalenti tra il Seicento e il Settecento.
Si riscende per andare verso la seconda sala, a mio avviso la più bella: ci sono stata due volte ma mi auguro di tornarci ancora per godermi al meglio il suo allestimento. É dedicata a Oronzo Tiso, Serafino Elmo e Paolo Finoglio, artisti leccesi e come tali aventi il dovere di essere contemplati dai loro compaesani. Quello che risalta subito all’occhio, entrando, è la grande tela dell’Elmo, rappresentante Sant’Oronzo che riceve da Cristo il mandato di proteggere la città di Lecce dalla peste: ora si che riscopro le mie origini.

Sant'Oronzo che riceve da Cristo il mandato di proteggere la città di Lecce dalla peste

Durante la mia attività, ho voluto soffermarmi principalmente su Oronzo Tiso le cui tele  tessono un percorso tra le più peculiari chiese di Lecce. Per esempio, presso il museo Diocesano troviamo le bozze de Il trasporto dell’arca santa, Natività della Vergine e Presentazione di Gesù al tempio; gli originali sono a due passi dal Duomo, presso la Chiesa di Sant’Irene.

Presentazione di Gesù e Presentazione della Vergine


Ho cercato infatti di non soffermarmi alla semplice creazione dei qrcode che, letti, rimandassero ai contenuti del sito del museo; ho voluto anche creare un itinerario, qualcosa che non finisse lì ma che portasse il visitatore a proseguire oltre quelle opere, alla scoperta di altre, ancora più belle, presenti nella nostra città, che mi si è rivelata molto più ricca di aneddoti di quei pochi che conoscevo. La presenza di un immenso tappeto di fattura francese che Gioacchino Murat ha donato alla Cattedrale di Lecce mi ha lasciata di stucco e mi ha convinta ancor di più che donare il proprio tempo alla cultura ti ricompensa in un modo tale che nessun’altra attività potrebbe fare allo stesso, stimolante, modo.

Sala B


Dimenticavo: la biblioteca diocesana possiede libri che, un’amante della lettura come me, non ha davvero potuto non notare!









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domenica 29 novembre 2015

Città di carta, John Green





Nel 2006 lo scrittore statunitense John Green vince il Pritz Award per il suo primo romanzo Cercando Alaska.
"Pisciare è come leggere un bel libro: è durissima smettere una volta che hai cominciato."
Due anni dopo, mentre Quentin Jacobsen piscia, per mano del suo fautore Green, pensa questo. Ma andiamo avanti, non è giusto giudicare uno scrittore sol perché crea un personaggio che non sa fare bene le similitudini.
Se siamo infatti appassionati di Youtube John, insieme a suo fratello Hank, gestisce e crea una serie di video in cui tratta di tutto. Precisamente due giorni fa, John ha caricato un video nel quale parla dell'aumento della violenza negli USA (circa il 50% dal 1990); in un altro discute sulla crisi dei rifugiati siriani e l'aumento di questi che, insieme alla gente proveniente dall'Afghanistan ed Eritrea, attraversano il mare con l'aiuto dei contrabbandieri, cercando asilo presso le nazioni europee.




"Quando si discute di rifugiati, spesso sento dire «Beh, non è un problema nostro» o «Dobbiamo prenderci cura della nostra gente». Eppure noi siamo un'unica specie che visceralmente condivide un mondo ormai globalizzato e gli uomini, tutti gli uomini, sono la nostra gente. E quando gli oppressi e gli emarginati muoiono perché sono oppressi ed emarginati, la colpa è del potere."
Se secondo il Time Magazine John Green è tra le cento persone più influenti al mondo, in Città di carta non dobbiamo immaginarci solo un noiosissimo squarcio dell'adolescenza e del modo tutto suo di innamorarsi. Soprattutto perché in Margo Roth Spiegelman non c'è nulla di adolescenziale: siamo di fronte a una ragazza che canta se stessa, selvaggia e vagabonda, inneggiando la sacralità e preziosità della vita. Margo prova terrore al pensiero di essere risucchiata dal college, il lavoro, il matrimonio, i bambini e tutta quella merda lì.
Ma perché? Il "te l'ho detto, sto leggendo un sacco" non ci basta.




"Ero seduto. Ascoltavo. E sentivo cose su di lei, sulle finestre, sugli specchi. [...] Margo Roth Spiegelman era una persona. Non avevo mai pensato a lei in questi termini: un grave errore delle mie precedenti fantasie. Per tutto il tempo - non solo da quando era scomparsa, ma da dieci anni almeno - avevo pensato a lei senza ascoltare, senza sapere che l'avevo ridotta a una misera finestra."


"C'è un sacco di tempo tra quando le crepe cominciano a formarsi e quando andiamo a pezzi. Ed è solo in quei momenti che possiamo vederci, perché vediamo fuori di noi dalle nostre fessure e dentro gli altri attraverso le loro."
Margo commette un grande errore prima di scappare via: non tenta nemmeno di essere se stessa, di spiegarsi come gli altri la vedono e di confidare a questi come si sente.



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