"Guerra e Pace è un libro politeista; Tolstoj ha portato ogni ipotesi teologica fino allo scandalo che essa comporta e vuole che noi esperimentiamo le contraddizioni del cielo."
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Pietro Citati, Tolstoj Premio Strega 1984 |
Quali sono i fini o le mete della storia?
Napoleone non è andato in Russia per la grandezza della Francia e Alessandro non è andato in Francia per la grandezza della Russia. Niente accade in nome di qualche diritto del popolo o del sovrano: la storia non ha nessun fine. È soltanto
questa incessante marea, da occidente a oriente, da oriente a occidente, che si
ripete da secoli e lascia sulla sua strada milioni di morti e assiderati. Non è
neanche Dio a fare la storia e proprio per questo ci riesce incomprensibile.
Gli uomini mirano a una meta e la storia si serve dei loro piccoli desideri per
architettare qualcosa di diverso. Così Tolstoj non crede alla cause degli
eventi ricordate dagli storici: le
accetta ma le moltiplica perché ogni evento è prodotto da miliardi di cause.
Per quanto sia accessibile la catena delle cause di una qualsiasi azione, non potremo mai conoscere l'intera catena, poichè essa è infinita, e di nuovo non otterremo mai un'assoluta necessità.
Tolstoj si diverte a prendersi gioco di Thiers, elevandosi a possessore non
solo della verità poetica ma anche di quella storica.
Con l’occhio
passivo, ingenuo e farsesco di Pierre, raffigura la stranezza e la comicità
della battaglia di Borodino, come un incubo vuoto, assurdo, orrendo. La storia
è vista da uno che non capisce niente e così viene fedelmente rappresentata,
derisa, nullificata.
Eppure quest’uomo
con la testa perduta in chissà quale sogno, è il personaggio più terrestre di
Guerra e Pace: Pierre è comico intellettualmente (gioca alla filosofia, alla
guerra o al matrimonio come potrebbe giocare a scacchi) e fisicamente. Tolstoj
però lo ama perché, attraverso i suoi errori, gli prepara la felicità.
E il volto dagli occhi attenti, con uno sforzo, come si apre una porta arruginita, ebbe un sorriso, e da quella porta aperta ad un tratto alitò e investì Pierre quella felicità da tanto tempo dimenticata alla quale ormai non pensava più. Alitò, lo avvolse e lo sommerse tutto. Il suo sorriso fece svanire ogni dubbio: era Nataša, e lui l'amava.
Invece gli
errori del principe Andrej gli si rivolgono contro: la sua freddezza ed
estraneità alla vita, il ribrezzo e l’ostilità per la carne culmineranno nel
destino di uno che con una parte di sé è sempre stato morto.
Amare tutto, tutti, sacrificare in ogni momento se stesso per l'amore: voleva dire non amare nessuno, voleva dire non vivere di questa vita terrena.
Il paradosso
di Guerra e Pace vuole che due indagatori dell’immenso come il principe Andrej
e Pierre puntino su una persona meravigliosamente limitata: Nataša.
Nataša
cammina a un centimetro dall’abisso e solo la grazia le impedisce di cadervi: è
felice in maniera assurda e nessuno potrebbe spiegarne il motivo. Forse la sua
gioia di vivere è posseduta da un profondo narcisismo: si ama e nei monologhi
che fa a se stessa c’è sempre un uomo, il migliore, il più intelligente che la
sazia di complimenti.
Per lei era troppo poco amare e sapere di essere amata: aveva bisogno di abbracciare l'uomo amato in quel momento, subito; di dire e di ascoltare dalla sua voce le parole d'amore di cui il suo cuore era colmo.
A Nataša e
Pierre spetta il regno del presente, al principe Andrej quello del futuro che
il figlio Nikolaj eredita e con il cui sogno il grande romanzo termina ma
potrebbe anche ricominciare da qui.
Di una cosa sola prego Dio: che anche a me succeda ciò che è successo agli uomini di Plutarco, e io farò come loro. Anzi farò meglio di loro. Tutti lo sapranno, tutti mi ameranno, tutti mi ammireranno.
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