giovedì 31 marzo 2016

Il bar sotto il mare, Stefano Benni

“Camminavo una notte in riva al mare di Brigantes, dove le case sembrano navi affondate, immerse nella nebbia e nei vapori marini…”



Una foto con ventitré volti, ognuno dei quali corrispondenti a una storia e l’unico modo per uscire dal bar sotto il mare è raccontarla. Eppure, una notte, tutti vorrebbero capitare in un bar dove tutto, misteriosamente, può accadere.
A un tratto ci si può ritrovare a Sompazzo dove il tempo è diventato matto; poi a Parigi, nella prestigiosa cucina di Gaspard Ouralphe; dopo ancora nell’Africa del Sud, a bordo della Fidèle.




Circostanze atipiche e situazioni improbabili fanno da sfondo a sentimenti e fatti quotidiani: il surreale ingloba la realtà, la realtà invade il surreale.
Il divertissement puro si alterna a una satira graffiante che strappa un sorriso perplesso.
Varie e differenti forme stilistiche si abbracciano tra cui l’horror, il poliziesco e degli esercizi di fantasia, alta espressione di Benni.
Se questo non incuriosisce abbastanza, riporto qui il messaggio con il quale lo scrittore ha rifiutato il premio Vittorio de Sica (29 settembre 2015):

"Gentili responsabili del premio De Sica e gentile Ministro Franceschini, vi ringrazio per la vostra stima e per il premio che volete attribuirmi. I premi sono uno diverso dall'altro e il vostro è contraddistinto, in modo chiaro e legittimo, dall'appoggio governativo, come dimostra il fatto che è un ministro a consegnarlo.
Scelgo quindi di non accettare. Come i governi precedenti, questo governo (con l'opposizione per una volta solidale), sembra considerare la cultura l'ultima risorsa e la meno necessaria. Non mi aspettavo questo accanimento di tagli alla musica, al teatro, ai musei, alle biblioteche, mentre la televisione di stato continua a temere i libri, e gli Istituti Italiani di Cultura all'estero vengono di fatto paralizzati. Non mi sembra ci sia molto da festeggiare.
Vi faccio i sinceri auguri di una bella cerimonia e stimo molti dei premiati, ma mi piacerebbe che subito dopo l'evento il governo riflettesse se vuole continuare in questo clima di decreti distruttivi e improvvisati, privilegi intoccabili e processi alle opinioni. Nessuno pretende grandi cifre da Expo,ma la cultura (e la sua sorgente, la scuola) andrebbero rispettate e aiutate in modo diverso. Accettiamo responsabilmente i sacrifici, ma non quello dell'intelligenza.
Comprendo il vostro desiderio di ricordare il grande Vittorio De Sica, e voi comprenderete il mio piccolo disagio."



"Nell'invenzione nulla muore, mentre ricchezza e indifferenza spengono tutto, perdio!"



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martedì 22 marzo 2016

Guerra e pace, Lev Tolstoj

"Guerra e Pace è un libro politeista; Tolstoj ha portato ogni ipotesi teologica fino allo scandalo che essa comporta e vuole che noi esperimentiamo le contraddizioni del cielo."

Pietro Citati, Tolstoj
Premio Strega 1984

Quali sono i fini o le mete della storia? 
Napoleone non è andato in Russia per la grandezza della Francia e Alessandro non è andato in Francia per la grandezza della Russia. Niente accade in nome di qualche diritto del popolo o del sovrano: la storia non ha nessun fine. È soltanto questa incessante marea, da occidente a oriente, da oriente a occidente, che si ripete da secoli e lascia sulla sua strada milioni di morti e assiderati. Non è neanche Dio a fare la storia e proprio per questo ci riesce incomprensibile. Gli uomini mirano a una meta e la storia si serve dei loro piccoli desideri per architettare qualcosa di diverso. Così Tolstoj non crede alla cause degli eventi  ricordate dagli storici: le accetta ma le moltiplica perché ogni evento è prodotto da miliardi di cause. 



Per quanto sia accessibile la catena delle cause di una qualsiasi azione, non potremo mai conoscere l'intera catena, poichè essa è infinita, e di nuovo non otterremo mai un'assoluta necessità.

Tolstoj si diverte a prendersi gioco di Thiers, elevandosi a possessore non solo della verità poetica ma anche di quella storica.
Con l’occhio passivo, ingenuo e farsesco di Pierre, raffigura la stranezza e la comicità della battaglia di Borodino, come un incubo vuoto, assurdo, orrendo. La storia è vista da uno che non capisce niente e così viene fedelmente rappresentata, derisa, nullificata.
Eppure quest’uomo con la testa perduta in chissà quale sogno, è il personaggio più terrestre di Guerra e Pace: Pierre è comico intellettualmente (gioca alla filosofia, alla guerra o al matrimonio come potrebbe giocare a scacchi) e fisicamente. Tolstoj però lo ama perché, attraverso i suoi errori, gli prepara la felicità.


E il volto dagli occhi attenti, con uno sforzo, come si apre una porta arruginita, ebbe un sorriso, e da quella porta aperta ad un tratto alitò e investì Pierre quella felicità da tanto tempo dimenticata alla quale ormai non pensava più. Alitò, lo avvolse e lo sommerse tutto. Il suo sorriso fece svanire ogni dubbio: era Nataša, e lui l'amava.

Invece gli errori del principe Andrej gli si rivolgono contro: la sua freddezza ed estraneità alla vita, il ribrezzo e l’ostilità per la carne culmineranno nel destino di uno che con una parte di sé è sempre stato morto.



Amare tutto, tutti, sacrificare in ogni momento se stesso per l'amore: voleva dire non amare nessuno, voleva dire non vivere di questa vita terrena.

Il paradosso di Guerra e Pace vuole che due indagatori dell’immenso come il principe Andrej e Pierre puntino su una persona meravigliosamente limitata: Nataša.
Nataša cammina a un centimetro dall’abisso e solo la grazia le impedisce di cadervi: è felice in maniera assurda e nessuno potrebbe spiegarne il motivo. Forse la sua gioia di vivere è posseduta da un profondo narcisismo: si ama e nei monologhi che fa a se stessa c’è sempre un uomo, il migliore, il più intelligente che la sazia di complimenti.



Per lei era troppo poco amare e sapere di essere amata: aveva bisogno di abbracciare l'uomo amato in quel momento, subito; di dire e di ascoltare dalla sua voce le parole d'amore di cui il suo cuore era colmo. 

A Nataša e Pierre spetta il regno del presente, al principe Andrej quello del futuro che il figlio Nikolaj eredita e con il cui sogno il grande romanzo termina ma potrebbe anche ricominciare da qui.



Di una cosa sola prego Dio: che anche a me succeda ciò che è successo agli uomini di Plutarco, e io farò come loro. Anzi farò meglio di loro. Tutti lo sapranno, tutti mi ameranno, tutti mi ammireranno.

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venerdì 11 marzo 2016

Grazie Swapmuseum

Venerdì sera: tavolata con amici, fuori. Abbiocco post cena. Testa sorretta dalla mano e dal forte ritegno che si tenta di avere per non cadere nel sonno, davanti a tutti.
Poi arriva Alessandra, spedita e allegra come sempre: mi sveglia, portandomi la notizia di un’iniziativa di cui non ero a conoscenza. Lo dice a me perché sa quanto ami l’arte, in tutte le sue forme. Lo dice a me perché sa che credo nell’ipotetica diffusione di questo amore. Lo dice a me perché sa che mi piace conoscere.
Si tratta di Swapmuseum e a spiegarlo non ci vuole nulla, è chiaro, limpido: consiste in te che diventi promotore dei musei della tua città con i mezzi che più ti piacciono e che alla fine utilizzi tutti i giorni. Fotografie, social media, scrittura di testi: è così che si diventa swapper. Puoi scegliere tu quando andare, quale attività svolgere e alla fine del tuo percorso vieni premiato! Con un buono viaggio o in film, musica, libri; con dei biglietti per un concerto; con un abbonamento stagionale a teatro. Non è bellissimo?
E io, che già da tempo meditavo di allargare i miei interessi oltre che sulla letteratura e la storia, anche sull’arte, ho pensato fosse l’occasione giusta per farlo.
Inizio a tartassare di messaggi la pagina Facebook Swapmuseum, richiedo un opuscolo per e-mail e alla fine, tra le attività rimaste, scelgo quella presso il Museo Diocesano in piazza Duomo, a Lecce. Avrei dovuto trasformare i contenuti presenti nel sito del museo in qrcode, ovviamente dopo una visita, accompagnata da Barbara e Delia, due delle organizzatrici del progetto.
Ciò che subito mi è piaciuto di loro è stata la gentilezza e la disponibilità: anche la curiosità di conoscermi, volevano sapere tutto di me, che cosa facessi, che cosa amassi. Una calda accoglienza.



Dopo le presentazioni siamo salite su, con Annamaria, la guida presente nel museo: la prima sala, dai colori caldi e tenui, esponeva opere di pittori aderenti alla scuola napoletana, come Paolo Finoglio, Ippolito Borghese, Giulio Cesare Infantino, Paolo De Matteis e Giandomenico Catalano. Sono presenti anche delle copie dell’Apostolado dello spagnolo Giuseppe Ribera il cui figlio ha vissuto nei pressi di porta San Biagio. Alla fine del corridoio, il busto di Sant’Oronzo.


Apostolado


Poi si sale sul soppalco, dove sei vetrine si spartiscono i preziosi paramenti liturgici e gli argenti napoletani, tesori della Cattedrale di Lecce risalenti tra il Seicento e il Settecento.
Si riscende per andare verso la seconda sala, a mio avviso la più bella: ci sono stata due volte ma mi auguro di tornarci ancora per godermi al meglio il suo allestimento. É dedicata a Oronzo Tiso, Serafino Elmo e Paolo Finoglio, artisti leccesi e come tali aventi il dovere di essere contemplati dai loro compaesani. Quello che risalta subito all’occhio, entrando, è la grande tela dell’Elmo, rappresentante Sant’Oronzo che riceve da Cristo il mandato di proteggere la città di Lecce dalla peste: ora si che riscopro le mie origini.

Sant'Oronzo che riceve da Cristo il mandato di proteggere la città di Lecce dalla peste

Durante la mia attività, ho voluto soffermarmi principalmente su Oronzo Tiso le cui tele  tessono un percorso tra le più peculiari chiese di Lecce. Per esempio, presso il museo Diocesano troviamo le bozze de Il trasporto dell’arca santa, Natività della Vergine e Presentazione di Gesù al tempio; gli originali sono a due passi dal Duomo, presso la Chiesa di Sant’Irene.

Presentazione di Gesù e Presentazione della Vergine


Ho cercato infatti di non soffermarmi alla semplice creazione dei qrcode che, letti, rimandassero ai contenuti del sito del museo; ho voluto anche creare un itinerario, qualcosa che non finisse lì ma che portasse il visitatore a proseguire oltre quelle opere, alla scoperta di altre, ancora più belle, presenti nella nostra città, che mi si è rivelata molto più ricca di aneddoti di quei pochi che conoscevo. La presenza di un immenso tappeto di fattura francese che Gioacchino Murat ha donato alla Cattedrale di Lecce mi ha lasciata di stucco e mi ha convinta ancor di più che donare il proprio tempo alla cultura ti ricompensa in un modo tale che nessun’altra attività potrebbe fare allo stesso, stimolante, modo.

Sala B


Dimenticavo: la biblioteca diocesana possiede libri che, un’amante della lettura come me, non ha davvero potuto non notare!









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